Editoriale: questo non è amore

“Questo non è amore”

         Nei primi sei mesi di quest’anno sono già stati perpetrati 74 femminicidi. I dati sono del Viminale.

         Tutto ciò nonostante la Polizia di Stato stia dando seguito al progetto itinerante contro la violenza sulle donne: “Questo non è amore”.

         Le donne continuano ad essere uccise. Per mano di chi? La risposta farà inorridire. La prevalenza delle morti avviene per mano di ex-fidanzati, ex-mariti, ex-conviventi, persone che non riuscivano ad accettare la rottura del rapporto per atti di violenza, per incompatibilità di carattere, per altre ragioni.

         La donna è oggetto d’amore o è oggetto da possedere?

         La donna non è oggetto in nessun caso.

         La donna è un soggetto coi suoi bisogni, con i suoi sogni, con le sue aspirazioni, col suo desiderio di libertà e di realizzazione. Ma la mano del femminicida vede solo l’oggetto che sfugge al suo possesso.

         Le donne vengono uccise in modo crudele e barbaro, sepolte ancora vive o, come nel caso più raccapricciante ed emblematico accaduto il 29 maggio di quest’anno, quando a Sara Di Pietrantonio viene, di fronte all’ennesimo rifiuto di riprendere la relazione interrotta col suo ex-fidanzato, cosparsa di alcool e bruciata viva.

         Donne sfregiate con l’acido muriatico, donne bastonate a morte, donne sgozzate, donne lapidate, donne violentate da chi avrebbe dovuto proteggerle ed amarle: familiari, parenti, amici di famiglia. Si uccide quasi sempre nell’ambito familiare.

         Si uccide sotto raptus, spinti da un insano sentimento d’amore, d’amore malato.

         Ogni società civile, per dirsi tale, dovrebbe elaborare progetti di formazione contro il femminicidio, contro la violenza di genere, quella sulle donne.

         L’ONU ha scelto il colore arancio per un futuro senza violenza.

         Benetton, in occasione del 25 novembre, giornata riconosciuta a livello mondiale contro la violenza alle donne, aveva prodotto un video: Una donna vestita in arancione era pronta per essere lapidata da sei uomini di tutte le razze, ma al momento di lanciare i sassi le loro mani si aprivano e lanciavano fiori.

         Noi ringraziamo Benetton sia per il nome importante prestato alla campagna antiviolenza         sia per il tentativo poetico del messaggio, il punto è che a noi non stanno neppure bene i fiori. Non vogliamo che ci vengano tirati addosso neppure i fiori.     Vogliamo rispetto.

         E invece, purtroppo, in Italia la violenza contro le donne è ancora dilagante nonostante sia in vigore la legge 119 del 15 ottobre 2013 per contrastare tale fenomeno.

         Le donne continuano ad essere picchiate in casa, molestate fuori, vittime di bullismo.

         Purtroppo non basta una legge a cambiare una mentalità retriva che da anni convive sotto sotto nella società “che se alla donna accade qualcosa di male in qualche modo se l’è meritata”.

         Si tende ad assolvere gli assassini e a colpevolizzare le vittime.

         Spetta alle famiglie, alle scuole, all’Associazionismo in genere tenere alta la guardia e insegnare a rispettarsi reciprocamente imparando a gestire rabbia e conflitti a parole e non con la violenza.

         Noi donne di P.E.N.E.L.O.P.E, che non a caso abbiamo adottato l’arancio, ci spendiamo in iniziative che vadano in questa direzione attraverso progetti stilati per le scuole, seminari con la presenza di esperti, cineforum, opere teatrali, convegni, sportelli di ascolto, incontri con donne di altre etnie e quanto può servire alla elaborazione della cultura del rispetto e delle pari opportunità. Eppure non è ancora sufficiente.

         E’ necessario che le donne maltrattate non si rendano inconsapevolmente complici del loro aguzzino, che lo lascino al primo schiaffo, che lo denuncino e che non accettino l’ultimo “fatale” incontro chiarificatore.

         Ognuno deve fare la sua parte.

 

                            Maria Pia Urso

21 luglio 2016

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